I Paesi meno sviluppati rappresentano circa l’1,1% del totale delle emissioni mondiali di Co2 derivanti dalla combustione di fossili e dai processi industriali. Ma sono proprio questi Stati a pagare le conseguenze peggiori del riscaldamento globale. Per questo ora chiedono ai più ricchi di pagare per i danni che da loro provocati. Il meccanismo ideato si chiama “Loss and damage” e se ne sta discutendo alla Cop27 in corso in Egitto.
Sembra un paradosso, ma la crisi climatica non conosce confini geografici. Così, da un lato, le emissioni procapite di Co2 dei Paesi meno sviluppati raggiungono a malapena il 9% della media mondiale e dall’altro è proprio qui che le conseguenze del cambio climatico colpiscono più duramente. Questi Paesi pagano le conseguenze peggiori del riscaldamento globale: in media, ogni anno, 189 milioni di persone nei Paesi in via di sviluppo vengono colpiti da eventi estremi causati a decine di migliaia di chilometri di distanza.
Lo scorso anno alla Cop26 di Glasgow, la grande assemblea delle Nazioni Unite dedicata al clima – la cui 27esima edizione è in corso ora a Sharm el Sheik – i Paesi meno sviluppati hanno avanzato una proposta passata agli atti sotto il titolo di “Loss and damage” (perdita e danno, ndt) e hanno chiesto ai Paesi ricchi di cominciare a pagare per le conseguenze delle loro politiche inquinanti.
L’1% più ricco provoca quasi un quarto delle emissioni globali di gas serra
Nel mondo si susseguono a ritmi sempre più veloci eventi climatici disastrosi dovuti in grandissima parte all’innalzamento delle temperature causato dalle emissioni di Co2. A contribuire a questo drammatico stato di cose sono in larghissima maggioranza, come è facile intuire, gli Stati più industrializzati: solo la Cina è responsabile del 32% delle emissioni mondiali di combustibili fossili, seguono gli Stati Uniti con il 14%, l’Unione Europea e l’India con l’8% ciascuna.
In Europa, si prevede che nel 2022 le emissioni diminuiscano di circa lo 0,8%, non tanto per scelte politiche sagge però, quanto a causa di un forte calo del consumo di gas naturale dopo che la Russia ha interrotto le forniture. Nel 2019, la cosiddetta “impronta di carbonio” lasciata da una persona che vive in Paesi sviluppato è stata mediamente 23 volte superiore di quella di un cittadino di un Paese a basso reddito.
Una crisi causata dai ricchi e pagata dai poveri
Il danno che l’emergenza climatica sta causando al pianeta è immenso e, anche se è ormai sempre più visibile anche nei Paesi più ricchi, è senza dubbio sproporzionatamente più grave e frequente in quelli a reddito più basso. Mentre si sta svolgendo la Cop27 in Egitto, il Pakistan viene colpito da inondazioni senza precedenti mentre le ripetute siccità e altri eventi climatici nel Corno d’Africa hanno ridotto alla fame decine di milioni di individui.
Come sostiene la Loss and Damage Collaboration, un gruppo di oltre 100 operatori, ong, ricercatori, attivisti, artisti e decisori provenienti dal Sud e dal Nord del mondo, negli ultimi 30 anni, nei Paesi più poveri, gli eventi climatici estremi sono raddoppiati e hanno causato circa 680mila vittime, il 79% del totale a livello globale. L’Africa, secondo i dati dell’African Development Bank, sta perdendo tra il 5 e il 15% di Pil pro-capite all’anno a causa del riscaldamento globale, anche se è responsabile di meno del 4% delle emissioni inquinanti a livello globale.
Chi sbaglia, paghi: cos’è il “Loss and Damage”
Nel complesso, 55 tra i Paesi più poveri al mondo hanno subito perdite economiche da eventi climatici estremi per 500 miliardi di dollari nei primi 20 anni del secolo e il trend è in aumento. Senza contare le perdite già sperimentate di vite umane, l’erosione di culture e il blocco dello sviluppo, che tenderanno ad aggravarsi. Proprio per questo motivo nel corso della Cop26 svoltasi a Glasgow, al termine di un dibattito serratissimo, i Paesi a basso reddito hanno strappato uno storico obiettivo: far inserire nell’Agenda della Cop27 un capitolo “Loss and Damage“ che costringa tutti gli Stati a confrontarsi su cosa e chi stia creando i maggiori danni al mondo e provveda a compensazioni urgenti per cominciare a emendarli.
Il tema è molto attuale e viene affrontato proprio in questi giorni, anche se fatica a trovare una struttura formale e un’accettazione, soprattutto da parte dei Paesi ricchi. Segnali incoraggianti giungono da Austria, Belgio, Danimarca, Germania e Irlanda, Nuova Zelanda, unitisi alla Scozia, nell’impegno a erogare milioni di euro per riparare ai danni causati. Gli Stati Uniti, al contrario, secondi emettitori al mondo, non hanno offerto alcun contributo. L’amministrazione Biden, terrorizzata dall’enorme esborso commisurato al danno causato dagli Usa, sostiene che la via migliore è che le aziende finanzino progetti di energie rinnovabili nei Paesi meno sviluppati. Il presidente francese Emmanuel Macron ritiene invece che l’Europa stia già aiutando i Paesi più poveri: “Siamo gli unici a pagare” ha dichiarato di recente. Mentre Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, sembra più possibilista: “È giunto il momento di mettere questo punto all’ordine del giorno“. La Cina, per bocca del suo inviato per il clima Xie Zhenhua alla Cop27, si sarebbe detta disposta a sostenere un meccanismo di compensazione per i Paesi più poveri, anche se gli aiuti non prevedrebbero, secondo Zhenhua, esborsi in denaro.
I Paesi che inquinano di più
L’inserimento del concetto ‘perdite e danni’ nell’agenda della maggiore assemblea Onu sul clima, quindi, è un successo senza precedenti: la nozione, assolutamente nuova quanto rivoluzionaria, sta trovando una sua collocazione e guadagnando terreno mediatico e supporto a vista d’occhio. La strada da percorrere per ottenere compensazioni sacrosante, però, resta molto lunga. Il progetto rimane ancora molto vago, non c’è un vero e proprio accordo attorno all’implementazione e sono tanti i Paesi ad alto reddito che non si ritengono in debito o, addirittura, negano le responsabilità attuali e storiche. Eppure, dati alla mano, si calcolano le emissioni a partire dalla metà del XIX secolo, inizio rivoluzione industriale, ad oggi, al primo posto della classifica ci sono gli Stati Uniti che hanno emesso più di 509 Giga tonnellate di Co2 (GtCo2) dal 1850 e sono responsabili della maggior parte delle emissioni storiche con circa il 20% del totale globale. La Cina l’11%, la Russia 7%, il Brasile 5% e Indonesia 4%.