Opuntia ficus indica L. – Parte utilizzata : pianta intera
Descrizione. Riabilitato da poco, il Nopal ha fatto parte, per molto tempo, delle piante disprezzate dagli occidentali, come l’Aloe e l’Ortica. Si tratta di una delle piante medicinali più antiche ed è frequentemente usata dagli Indiani d’America. Si contano più di 400 specie e innumerevoli varietà di questo cactus, conosciuto anche con il nome di Fico d’India. Il fico d’India appartiene al genere Opuntia che è il più rappresentativo della grande famiglia delle Cactacee. Il fusto è formato da espansioni carnose dette pale o cladodi di forma ovale e appiattita lunghi dai 30 ai 40 cm con una larghezza variabile dai 15 ai 25 cm che unendosi gli uni agli altri formano il tronco e le ramificazioni. Le pale fanno le veci delle foglie e assicurano alla pianta la necessaria sintesi clorofilliana. Sono ricoperte da una cuticola cerosa che limita la traspirazione e posseggono numerose spine che scoraggiano i predatori. Le spine sono raggruppate, lungo tutta la superficie della pala, nelle areole, circa 150 per pala, dove si trovano sia le spine lunghe uno o due cm che i glocidi spine sottili e piccolissime lunghe appena qualche millimetro. I glocidi si staccano con facilità al minimo tocco ma anche per azione di un forte vento e si conficcano saldamente nella cute a causa dei minuscoli uncini di cui sono provvisti rendendo l’estrazione assai difficoltosa. Dalle areole si generano gli altri organi della pianta del fico d’India cioè altre pale, i fiori e i frutti. Quando le pale diventano vecchie, oltre i 4 anni di età della pianta, sono legnose e costituiscono il fusto mentre le pale giovani nascendo una sull’altra aumentano il volume e l’altezza della pianta del fico d’India. Gli stomi di questa pianta, aperture situate sopra l’epidermide che consentono gli scambi gassosi fra il vegetale e il mondo esterno, si aprono di notte richiudendosi durante il giorno. Questo le permette di usufruire dell’umidità e della frescura notturna evitando il calore del sole. Questa è una caratteristica del genere Opuntia al quale appartengono piante che essendosi adattate in zone desertiche devono ridurre al minimo la traspirazione a differenza delle piante di altre famiglie nelle quali gli stomi si aprono nelle ore diurne. L’apparato radicale non scende molto in profondità, in genere non supera i 30 cm, per contro è però molto esteso. I fiori compaiono sulla sommità delle pale di oltre un anno di età che possono portare anche una trentina di fiori ma il loro numero varia molto a seconda della posizione della pianta e del vigore della stessa. Sono grandi e spinosi, ermafroditi, con numerosi stami e petali vistosi che possono essere di colore giallo, arancio o bianco a seconda della varietà. Fioriscono in modo scalare dalla primavera all’estate e vengono impollinati dagli insetti. Dai fiori fecondati si generano i frutti che sono bacche ricche di semi, carnose, di forma ovale tronca all’estremità con buccia della consistenza del cuoio ricoperta da un intrico di spine corte e sottili molto pungenti che si staccano con facilità. Il colore della polpa può essere rosso, bianco o giallino a seconda della varietà.
Storia. La pianta del fico d’India ha origini molto antiche e si ritiene sia originaria dell’altopiano centrale del Messico conosciuta dalle popolazioni pre-colombiane 1000 anni a. C. e pianta sacra ai tempi degli Aztechi che la chiamavano nopalli. Veniva commercializzato non solo il suo frutto ma era molto ricercato anche il colore rosso vivo chiamato carminio che si ricavava da un particolare parassita che vive sulle pale della pianta del fico d’India. La pianta del fico d’india era sacra agli Aztechi perché la loro capitale Tenochtitla, l’odierna Città del Messico, era stata fondata nel luogo dove si era notata un’aquila appollaiata sopra un cactus nopalli così come era stato profetizzato. Ancora oggi nella bandiera messicana è raffigurata un’aquila appollaiata su una pianta di fico d’India. La pianta di fico d’India fu portata in Europa e precisamente in Spagna da Cristoforo Colombo quando tornò dal suo viaggio nel continente americano dopo aver visitato le isole dei Caraibi dove questa specie era diffusa. Il nome fico d’India è dovuto al fatto che Cristoforo Colombo credeva di essere giunto in India e non pensava di aver scoperto un nuovo continente. Ai tempi di Colombo questa pianta era diffusa in tutto il centro America dove ancor oggi è molto facile trovarla. La pianta del fico d’India trovò nelle regioni calde dell’Europa un ambiente idoneo per la sua crescita e si diffuse rapidamente in tutto il bacino del Mediterraneo sino al punto da diventare in molte zone uno degli elementi più comuni dei paesaggi sassosi e aridi. In Italia la pianta del fico d’India si è naturalizzata così bene nel Meridione da trovare coltivazioni in tutto il territorio Meridionale, specialmente in Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia. La facilità della sua diffusione è dovuta all’opera degli uccelli che mangiandone i frutti ne disperdono i semi.
Proprietà. I fichi d’india sono frutti poco calorici: contano solo 53 Kcal per 100 grammi e, poiché un solo fico, senza buccia, pesa soltanto 70 grammi, allora le calorie per frutto si riducono a 37. Come per molti frutti la componente proteica e i grassi sono pari a zero, mentre abbonda la fibra insolubile (4.9 g) rispetto a quella solubile (0.13 gr.). Particolarmente importante è la presenza di Sali minerali tra i quali spiccano il potassio (190 gr.), il calcio (30 gr.) e il fosforo (25 gr.); in minore concentrazione invece il ferro e il sodio. Per quanto riguarda le vitamine, in maggiori quantità troviamo la vitamina C (18 mg), seguono, in concentrazioni più basse la vitamina a, la niacina, la tiamina e riboflavina. Le virtù terapeutiche di questa pianta, capace di prosperare nei luoghi più desertici, sono attualmente rivalutate da recenti studi scientifici. Grazie alle numerose molecole attive che la compongono, permette di lottare efficacemente contro alcune delle patologie più frequenti e importanti della nostra era, in testa l’obesità, il diabete e l’arteriosclerosi. L’attività ipoglicemizzante del Nopal è stata dimostrata da diversi studi clinici realizzati in Messico, su un numero tuttavia ristretto di pazienti diabetici. Si è dimostrato che il Nopal ha contribuito a far abbassare il tasso di glucosio nel sangue. Il Nopal ha un’azione antiossidante legata alla presenza di quercitina, reputata essere fra i flavonoidi più attivi. Il Nopal può ugualmente partecipare alla perdita di peso nelle persone che soffrono di eccesso ponderale. Le virtù dimagranti della pianta sono dovute alla presenza di mucillagini che hanno un effetto saziante. Inoltre, il Nopal ha un alto potere lipofilo, ossia le sue fibre possono captare una parte dei grassi alimentari e limitarne l’assorbimento. Ai fichi d’india viene attribuito un potere astringente: essi, infatti vengono usati per combattere la diarrea perché le caratteristiche igroscopiche, li rendono capaci di trattenere l’acqua. Ma in realtà alcuni ne hanno registrato un leggero effetto lassativo se consumati con moderazione. In effetti va specificato che il frutto acerbo si comporta da astringente, ma se consumato maturo si comporta come un blando lassativo. Tuttavia anche in quest’ultimo caso, i semi che contengono molta lignina, possono provocare stipsi. I fichi d’india, quindi si comportano più precisamente come regolatori intestinali e sembra abbiano anche qualche ruolo nel prevenire la proliferazione dei parassiti intestinali. I fichi d’india sono utili nell’eliminazione dei calcoli renali grazie alla loro potente azione diuretica, attività da attribuirsi alle betalaine, pigmenti che danno al frutto una colorazione giallo-arancio (betaxantine) o rossa (betacianine). Queste sostanze hanno anche altri effetti benefici. Proteggono i globuli rossi dalla loro distruzione (emolisi) e legano le LDL, molecole deputate al trasporto del colesterolo in circolo, prevenendone così l’ossidazione e, quindi il conseguente depositarsi sulle pareti interne dei vasi sanguigni. A molti potrebbe interessare anche il fatto che il consumo abituale di fichi d’india ha un effetto ipocolesterolemizzante: le betalaine, insieme alla taurina, aumentando la secrezione di acidi biliari, richiamano più colesterolo, dal quale derivano, dal sangue al fegato dove è richiesto per la sintesi di altri acidi biliari. Per quanto riguarda il fegato, poi, i benefici delle betaline si esplicano sia in modo indiretto che in modo diretto: indirettamente, attraverso l’eliminazione delle tossine aumentando la diuresi; direttamente, attivando vie enzimatiche preposte alla detossificazione di sostanze xenobiotiche. Essendo poco calorici e privi di grassi non fanno certo ingrassare: la frutta è sempre da considerarsi un alimento “innocuo” sotto questo punto di vista, ma la moderazione e il buon senso sono le regole di sempre. Non solo non fanno ingrassare, ma sono validi alleati nella lotta contro la cellulite. Questo in virtù degli effetti diuretici di questi frutti, che si esplicano fondamentalmente grazie all’abbondanza di acqua, all’altissima concentrazione di potassio, il minerale più abbondante del fico d’india e alla carenza di sodio, presente in bassissime quantità. Il loro consumo, associato ad una dieta ipocalorica e iposodica, permette di perdere chili efficacemente e con risultati evidenti sulla ritenzione idrica.
Impiego. Può essere consumato così com’è, ma si presta bene anche per la preparazione di marmellate, creme, liquori, o in fantasiose insalate.
Marmellata di fichi d’india: Dopo aver sbucciato con cura i fichi d’india, tagliare la polpa a tocchetti e, in una casseruola portarla ad ebollizione. Ottenuta una poltiglia densa, questa va passata al setaccio per eliminare tutti i semi, quindi di nuovo sul fuoco si aggiunge succo di limone e zucchero (circa 500 grammi per un chilo di fichi) e continuare la cottura. Quando il composto è sodo si travasa in barattoli di vetro che vanno pastorizzati per permetterne una conservazione più lunga.
I fichi d’india vengono utilizzati per la produzione di prodotti di bellezza. In particolare, vengono utilizzati per produrre creme umettanti, cioè capaci di trattenere l’acqua prevenendo la disidratazione della pelle. Questo in virtù delle proprietà igroscopiche del fico d’india, ossia la capacità di catturare e trattenere le molecole d’acqua. Inoltre, tutte le parti dell’Opuntia, la pianta del fico d’india, vengono utilizzate per la produzione di cosmetici. Le pale, sulle quali dimorano i frutti, contengono sali minerali, vitamina E e C che conferiscono ai cosmetici che ne derivano proprietà rispettivamente emollienti e antiinfiammatorie. I semi di fichi d’india, invece, vengono utilizzati per produrre l’omonimo olio, attraverso la spremitura a freddo. Essendo molto raro e dispendioso da produrre è anche abbastanza costoso, ma è particolarmente adatto per il trattamento di pelle secca e screpolata e capelli aridi.
Creme per viso e corpo e lozioni in genere ad azione astringente: l’azione vasocostrittrice ha, sulla cute, un effetto rassodante e tonificante. Inoltre, nella polpa del frutto due antiossidanti, la indicaxantina e la betanina conferiscono ai cosmetici che ne derivano, un alto potere anti-invecchiamento contrastando la formazione dei radicali liberi. Inoltre, sui capelli ha un’azione idratante e lisciante, per cui lo shampoo a base di estratto di fico d’india si rileva particolarmente utile per chi ha capelli crespi e ribelli. Sembra anche che mangiare il frutto possa aiutare la ricrescita dei capelli e delle unghie probabilmente grazie alla ricchezza in Sali minerali e vitamine della sua polpa.
Avvertenze. Evitare l’uso di fichi d’India e di preparati a base di fichi d’India, in caso di di ipersensibilità o allergia specifica. I fichi d’india non presentano particolari controindicazioni se non per il fatto che mangiarne troppi può provocare stitichezza. Non adatti in caso di colite, perché questi frutti contengono fibra insolubile che può peggiorare gli stadi di stipsi. Inoltre i semi sono particolarmente duri (a causa della lignina) e irritanti, quindi questi frutti vanno evitati in presenza di patologie intestinali.