Preoccupa lo stato di salute degli oceani. Secondo uno studio curato dall’Iss, il virus Sars-CoV-2 è stato riscontrato in mare aperto. In aumento, poi, l’inquinamento generale di vibrioni, microplastiche e Pfas, che arrivano anche al Polo Nord e in aree finora indenni.
Si è tenuto nella mattinata di giovedì 15 giugno il convegno ‘Mare e salute‘ presso l’Istituto superiore di sanità a Roma, in cui sono stati presentati i dati di diversi progetti interistituzionali a difesa del mare. Fra questi anche ‘Sea Care’, frutto della partnership fra Iss, Sistema nazionale per la protezione ambientale, Marina militare e alcune università, in cui i ricercatori sono saliti a bordo delle navi della Marina per poter effettuare campionamenti in tutti gli oceani.
Cosa è stato trovato il mare aperto
Dalle analisi delle acque è emersa la presenza di diverse specie di virus e batteri, come il riscontro, in alcuni campioni in mare aperto in siti diversi, della presenza del Sars-CoV-2. Secondo i ricercatori, si tratta di un segno sia della pervasività raggiunta dal virus che di scarichi di acque reflue inefficienti in alcune aree del pianeta.
I vibroni, indicatori del cambiamento climatico
I batteri appartenenti al genere Vibrio si stanno moltiplicando nei luoghi in cui erano già presenti e stanno colonizzando aree finora indenni, favoriti da condizioni di salinità e più elevate temperature. I vibrioni possono essere considerati indicatori di cambiamento climatico, perché aumentano mentre il pianeta surriscaldato altera gli oceani. Anche le microplastiche, uno dei temi più attuali per la salute del mare, sono state trovate in diversi campioni, con maggiore prevalenza nei mari più chiusi come il Mediterraneo.
Quali possono essere i pericoli delle Pfas, le sostanze chimiche artificiali
Lo studio ha riscontrato, in via preliminare, che è possibile che le microplastiche possano a loro volta ‘trasportare’ microrganismi anche pericolosi per l’uomo, favorendone la colonizzazione in aree diverse. Anche i Pfas, sostanze chimiche artificiali altamente inquinanti e diffuse, sono sempre più pervasivi in tutto il pianeta, tanto che sono state trovate tracce di queste sostanze nella gran parte delle acque nazionali e internazionali, persino in campioni raccolti al Polo Nord. Anche se le concentrazioni riscontrate non sono allarmanti per la salute dell’uomo, il fenomeno è preoccupante sia come indice della diffusione planetaria dell’inquinante, sia per il fatto che non sono stati ancora studiati gli effetti diretti e indiretti che queste sostanze possono avere sulla salute marina.
Progetto Sea Care, di cosa si occupa
Il progetto Sea Care indaga i rischi per la salute correlati ad ambiente e clima, dagli Pfas al Polo Nord alle microplastiche che ‘trasportano’ i virus, ed è il primo al mondo di questa portata e con questa metodologia. Ha una durata di tre anni e si realizza attraverso un sistema strutturato di monitoraggio che raccoglie campioni e effettua misure e analisi lungo le rotte ordinarie, sia della nave scuola Amerigo Vespucci che di altre unità navali della Marina militare, in mare aperto, su acque territoriali e internazionali. Da questi esami emerge come il mare sia malato per colpa dell’uomo, soffocato dall’impatto delle attività umane, in termini di inquinamento ‘diretto’ o di effetti come i cambiamenti climatici. Dalla salute degli oceani, avvertono gli esperti, dipende strettamente anche quella del resto del pianeta e dell’uomo, in una prospettiva di ‘planetary health’.
L’impronta dell’attività umana è evidente in tutte le latitudini
Il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, ha spiegato che “il progetto Sea Care va nella direzione della global health e della one health: il problema è declinare concretamente i concetti. Questa bellissima esperienza di ricerca ha il merito di andare nel concreto e dare un contributo straordinario, utile a livello globale”.
Secondo Andrea Piccioli, direttore generale dell’Iss, “Il mare ha un ruolo centrale nell’equilibrio dell’ecosistema, che riguarda anche la nostra salute e il nostro benessere ed è per questo stiamo cercando di mettere a sistema tutte le nostre conoscenze per valutare il suo stato di salute, secondo un approccio ‘one-water” for “one-health’. L’impronta dell’attività umana è evidente in tutte le latitudini, come hanno dimostrato i primi viaggi compiuti in quattro oceani e dieci mari del pianeta e lo è al punto che vi abbiamo ritrovate sostanze chimiche persistenti usate negli ultimi cinquant’anni fino alle tracce del recente virus Sars-Cov2, che è stato per noi un risultato inatteso”.
Fonte Agi