L’alluvione in Emilia-Romagna e le immagini che in queste ore giungono dai luoghi colpiti portano a chiedersi se e cosa, da un punto di vista tecnico, si possa fare per evitare distruzioni di questa portata. Lo abbiamo chiesto a un’esperto.
“Ormai è chiaro che c’è un effetto climatico che aumenta il rischio di alluvioni su alcuni tipi di territorio che per l’Italia sono rilevanti”. Esordisce così il professor Francesco Ballio, docente di idraulica al Politecnico di Milano, intervistato da upday per affrontare il tema dell’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna e della frequenza con cui questi fenomeni si stanno verificando nel nostro Paese.
Cosa si può fare per limitare i danni delle alluvioni?
“Le azioni di mitigazione sono molte. Ci sono almeno una ventina di strategie che possiamo adottare: dalle opere più classiche come bacini di laminazione, dighe e argini, fino a insegnare ai cittadini come comportarsi in queste situazioni. Ma nessuna di queste è una soluzione, da sola. Bisogna sempre pensare a un mix. Alcune strategie sono relativamente universali, come le indicazioni alla popolazione su come comportarsi, altre sono sito-specifiche. Le azioni richieste nel caso delle Marche, dove c’è stata l’alluvione lo scorso settembre, ad esempio, sono diverse da quelle richieste per il territorio dell’Emilia-Romagna. Il fattore comune di tutte queste azioni è che hanno un costo”.
Un costo?
“Un costo in senso lato. In termini di soldi, sicuramente, ma anche in vincoli sul territorio. Alzare un argine, per esempio, oltre che costare, ha un impatto sul territorio. Impedire di costruire in una zona o addirittura delocalizzare delle case ha un costo e ha un vincolo. Insomma, c’è un impatto negativo. Abbassare il rischio costa. L’unico denominatore comune è una discussione sociale, quindi politica, in cui la società decide qual è il livello di costo che vuole affrontare e quanto vuole proteggersi”.
La soluzione è un dibattito all’interno della società e della politica?
“Un dibattito sociale e scelte politiche perché gli elementi tecnici li conosciamo: si chiamano argini, manutenzione dei fiumi, invasi, pulizia degli alvei, dragaggio degli alvei. E poi, evitare di costruire in certe zone. Serve fare uno studio locale e fare una serie di analisi costi benefici per capire quale sia la soluzione migliore e il costo indotto. C’è un messaggio importante però che vorrei passasse”.
“Dobbiamo accettare che l’inondazione avviene e quindi ridurre i danni o compensare i danni laddove ci sono. Dobbiamo continuare a lavorare per impedire certi effetti, ma dobbiamo anche essere consapevoli che dobbiamo lavorare sugli impatti, quindi sulla mitigazione. Penso all’Emilia-Romagna, ad esempio. Considerando che è un territorio quasi al 100% antropizzato, serve selezionare le zone su cui possiamo accettare i danni e quelle che invece dobbiamo proteggere, procedendo con schemi di compensazione, di fatto lavorando a una soluzione sugli effetti”.
A livello tecnico, e generale, cosa si può fare?
Sicuramente bisogna lavorare per tenere l’acqua a monte, cioè evitare che arrivi. Nel limite del possibile bisogna rallentare l’arrivo del picco verso valle. Questo non sempre si può fare, ma laddove è possibile, è una delle azioni. La pioggia non si può fermare, ma possiamo rallentare la concentrazione del deflusso in modo da distribuirla meglio. E poi possiamo mettere in condizioni di manutenzione ancora migliore i fiumi che hanno una capacità di portata maggiore.
E per le case?
Pensare a costruirle in modo che i danni siano limitati e seguire anche semplici regole che si usavano anche in passato: evitare, ad esempio, di installare impianti in cantina, o di lasciarvi valori. Si accetta che l’acqua arrivi, ma si limitano i danni. Per le cose, ovviamente. Per le persone non ci si può permettere che ci siano vittime.