Per la prima volta sono stati trovati nella placenta umana diversi frammenti di microplastiche. Questa ricerca – condotta in Italia, finanziata dal MIUR e pubblicata su Environment International – apre il sipario sui livelli di esposizione alle microplastiche e i rischi di salute pubblica.
Gli studiosi hanno prelevato dei campioni di placenta umana da 6 donne partorienti all’ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina a Roma. Il materiale è stato analizzato presso il Laboratorio di spettroscopia vibrazionale dell’Università Politecnica delle Marche.
Da ciascuna placenta i ricercatori hanno prelevato tre porzioni. Successivamente, i campioni sono stati etichettati e conservati in bottiglie di vetro con coperchi di metallo a −20 ° C. In totale, gli autori dello studio hanno rilevato 12 campioni di microplastiche (di dimensioni comprese tra 5 e 10 μm) nella placenta di 4 delle 6 donne facenti parte dello studio. 5 nel lato fetale, 4 sul lato materno, 3 nelle membrane corioamniotiche.
Per definire la natura di queste microplastiche è stata eseguita un’analisi retrospettiva basata sulla spettroscopia Raman, una tecnica di analisi dei materiali ampiamente in uso per rilevare la presenza di microplastiche e microparticelle in generale.
Tutte le particelle sono state classificate in termini di morfologia e composizione chimica. Le analisi hanno consentito di individuare la formula chimica cioe i pigmenti utilizzati.
Tre campioni sono stati identificati come polipropilene colorato, un polimero termoplastico, mentre per gli altri nove è stato possibile identificare solo i pigmenti.
Ipotesi sulla provenienza dai pigmenti
Ogni pigmento individuato fa comprendere alcune delle possibili fonti di contaminazione. Alcuni esempio tra quelli analizzati:
– iron idrossido ossido giallo è il pigmento utilizzato per la colorazione di polimeri (plastica e gomma) e in un’ampia varietà di cosmetici, come creme BB e fondotinta;
– ftalocianina di rame e ftalocianina vengono utilizzate per la colorazione di materiali plastici (cloruro di polivinile, polietilene a bassa densità, polietilene ad alta densità, polipropilene, polietilene tereftalato) e per pitture a dito;
– violanthrone è impiegato soprattutto per la tintura di tessuti (cotone/poliestere), prodotti di rivestimento, adesivi, fragranze e deodoranti per ambienti;
– blu oltremare trova applicazione principalmente nei cosmetici. Sapone, rossetto, mascara, ombretto e altri prodotti per il trucco.
Particelle inalate o ingerite
L’esposizione alle microplastiche sembra ormai inevitabile. La loro presenza è accertata:
– nelle acque: impiegate in agricoltura e così nei laghi italiani, oltreché nei mari;
– negli alimenti: addirittura anche all’interno di frutta e verdura;
– nell’aria.
Microplastiche e nanoplastiche vengono quindi veicolate nell’organismo attraverso gli apparati respiratorio e intestinale. Con effetti tossici di vario tipo, ai quali si è già in parte riferito. Le dimensioni di tutte le MP erano di ~ 10 μm, ad eccezione di due che erano più piccoli (~ 5 μm). Questi valori sono compatibili con un possibile trasporto nel sangue. Purtroppo, non sappiamo come le microplastiche raggiungano il flusso sanguigno e se provengano dal sistema respiratorio o dal sistema gastrointestinale.
I rischi per madre e figlio
La presenza di microplastiche nella placenta rappresenta rischi preoccupanti, secondo i ricercatori. Considerato l’ammontare assai ridotto di ciascun campione placentare (23 g rispetto a un peso totale di circa 600 g), è inoltre plausibile che la contaminazione sia molto estesa. Possibili conseguenze sugli esiti della gravidanza e sul feto sono gli effetti transgenerazionali del plastificante sul metabolismo e sulla riproduzione. Devono essere effettuati ulteriori studi per valutare se la presenza di MP nella placenta umana può innescare risposte immunitarie o può portare al rilascio di contaminanti tossici, risultando dannosi per la gravidanza.
Stile di vita e genetica
Un ulteriore aspetto interessante evidenziato dallo studio riguarda il mancato ritrovamento di microplastiche in 2 delle 6 placente esaminate. Tra i motivi potrebbe esservi infatti anche una sorta di impermeabilità individuale. Il passaggio transplacentare di microplastiche può dipendere da diverse condizioni fisiologiche e caratteristiche genetiche. Questo potrebbe spiegare, insieme alle diverse abitudini alimentari e allo stile di vita dei pazienti, l’assenza di microplastiche in 2 delle 6 placente analizzate e la diversa localizzazione e caratteristiche delle particelle identificate nel presente studio.